venerdì 31 gennaio 2014

ANTEPRIMA DE LA LEGGE DEL LUPO - IL PRIMO CAPITOLO

Secondo l'ottima tradizione dell'editoria digitale, dbooks.it mette a disposizione in anteprima gratuita il primo capitolo de La legge del lupo.

Non è tutto: se la lettura vi avrà incuriosito, potrete scrivere un'e-mail a info@dbooks.it: riceverete un file pdf che comprende anche il secondo capitolo.




LA LEGGE DEL LUPO - CAPITOLO 1

L’estate milanese era appena iniziata. Non era ancora esplosa umida e prepotente come al solito, ma il caldo aveva già cominciato a infiltrarsi dentro le case e sotto i vestiti, ispirando i primi sogni di fughe al mare in chi invece doveva fare i conti con un intero pomeriggio di lavoro.
Abbandonato sulla sedia dietro la sua scrivania, Edoardo Gorini sembrava sull’orlo di un attacco di cuore: la fronte imperlata di gocce di sudore, la candida camicia decorata da umidi aloni, la mano destra appoggiata sopra il cuore, la cravatta slacciata che pendeva asimmetrica dal collo, gli occhi sbarrati che guardavano il soffitto. Chi l’avesse visto in quel momento, sarebbe stato preso dal dubbio se chiamare un’ambulanza o, per risparmiare tempo, un’agenzia di pompe funebri.
Purtroppo per lui, Edoardo Gorini stava benissimo.


Il silenzio della stanza venne interrotto dal suono del telefono. L’uomo sobbalzò, riprendendo vita. Dopo diversi secondi di esitazione, allungò la mano tremante, afferrò la cornetta e se la portò all’orecchio.
“Edo?” la voce di Pietro lo aggredì con la solita, allegra, ingiustificata aggressività.
“Che c’è?” rispose, pentendosi subito per l’eccessiva freddezza.
“Cosa fai ancora lì? C’è la riunione di fine settimana, manchi solo tu. Spegni il computer e vieni qui, il Geko sta per partire con il suo pistolotto, sai che se entri in sala quando ha già cominciato diventa ancora più insopportabile…”
“Arrivo subito” mormorò, riattaccando.
Lentamente, si alzò dalla sedia, si chinò sulla scrivania e prese ad armeggiare con il mouse per chiudere le finestre dei programmi ancora aperti. Arrivato all’ultima schermata, si ritrovò di fronte alla causa del suo deplorevole stato fisico: un lungo elenco di nominativi affiancati da una serie di tristi, piccoli numeri.
Sospirando, Edoardo chiuse anche quella finestra, diede il comando di spegnimento al computer e cominciò a rassettarsi. Si trovò a deprecare il fatto che l’impianto di condizionamento dell’aria fosse stato già messo in funzione e che quindi gli uffici della FinSafety erano adeguatamente raffrescati: non avrebbe potuto giustificare la sua aria stravolta con il caldo.
Aprì lentamente la porta della sua stanza, mise fuori la testa e si sincerò che il corridoio fosse effettivamente deserto. Quindi, sgattaiolò fuori, chiuse l’ufficio e si avviò con passo veloce verso il bagno, dove avrebbe potuto sciacquarsi e rendersi almeno presentabile. Raggiunta la meta, entrò, si chiuse la porta dietro le spalle e si precipitò verso il lavandino.
Come, come mi sono ficcato in questo pasticcio?, si disse guardandosi allo specchio, mentre lasciava che l’acqua che si era gettato addosso colasse sul suo volto stravolto. Non poteva credere che quel relitto umano che si trovava dall’altra parte dello specchio e che in quel momento lo stava contemplando con disprezzo fosse proprio lui.
Sentiva di non avere la forza di staccare gli occhi da quella vista a suo modo affascinante, nella sua disperazione, così prese una salvietta e se la portò sul viso, affondandolo nel dozzinale profumo da stazione di servizio. vnne ava etato di eitàmi minutio sembrava essere auesso dio accennare un sorriso.verso il biuio .  che però non possono, o non
Cominciò a respirare sempre più profondamente, cercando di recuperare un briciolo di lucidità. Ci sarebbe anche riuscito, se all’improvviso il suo smartphone non si fosse messo a squillare, riproducendo le note purtroppo immortali di The Final Countdown. Sussultò spaventato, si maledisse per non avere impostato la vibrazione, estrasse stizzito il telefono e lesse il nome di chi lo stava chiamando. Paolo. Ancora lui. Per tutta la settimana, aveva schivato quella chiamata (il display gli ricordava che solo quel giorno aveva accumulato 15 chiamate non risposte), ma sapeva che presto avrebbe dovuto parlare con quel tizio. Solo, non poteva farlo subito. Si appoggiò il telefono al petto per evitare che la musica della suoneria richiamasse l’attenzione di chi si fosse trovato per caso a passare per il corridoio e attese che il suo aspirante interlocutore desistesse.
Finalmente tornò il silenzio. Edoardo rimise in tasca il cellulare, terminò di sistemarsi e uscì dal bagno, avviandosi a passo lento verso la grande stanza in fondo al corridoio. Man mano che si avvicinava, poteva sentire il suono di una voce diventare sempre più forte e profonda, intervallata da improvvise risate collettive. Là dentro si stava consumando l’immancabile rituale mensile: stava andando in scena la riunione riepilogativa, un rito ufficiato da un unico gran sacerdote, il capo. Anzi, il boss, come lo chiamavano tutti, in ufficio. I suoi collaboratori più stretti, invece, gli si rivolgevano chiamandolo Gekko, mandandolo in brodo di giuggiole anche se, quando parlavano tra loro alle sue spalle, diventava, più appropriatamente, “il Geko”, con tanti saluti alla “g“ dura dell’originale. Il personaggio di Wall Street era infatti, manco a dirlo, il suo eroe, il suo modello, tanto che aveva adottato la stessa pettinatura sfoggiata da Michael Douglas nel film. O meglio, aveva comprato un parrucchino con la stessa pettinatura sfoggiata da Michael Douglas nel film. Non era raro che si mettesse a imitare la parlata del personaggio e a citare i suoi aforismi. Naturalmente, tutti alla FinSafety, Edoardo compreso, avevano mangiato la foglia e avevano fatto i loro compiti a casa, vale a dire che avevano visto il film almeno tre volte a testa ed erano in grado di seguire il boss nei suoi eccessi di istrionismo. In effetti, c’era stato un momento di crisi quando era uscito il sequel: non si sapeva se il Geko l’avesse visto e se eventualmente gli fosse piaciuto, quindi nessuno osava parlarne in sua presenza, anche se ovviamente tutti, a scanso di equivoci, se l’erano sciroppato due volte al cinema. Dal momento però che non era stata rilevata nessuna aggiunta al vecchio repertorio di citazioni e il vecchio parrucchino non era stato sostituito con uno con i capelli bianchi, l’intero ufficio aveva deciso che Wall Street - Il denaro non dorme mai non dovesse essere riconosciuto come fonte di ispirazione aziendale.
Quando Edoardo ebbe raggiunto la porta, la voce del boss stava tuonando numeri.
“… in un anno, che equivale a duecentomila euro, considerato l’interesse composito del 2,8%, per non parlare della possibilità di movimentarlo dopo un solo trimestre. Adesso, qualcuno mi deve spiegare com’è possibile non riuscire a vendere un titolo del genere!”
Appena percepì il rumore delle dita che picchiettavano sulla tastiera, abbassò la maniglia ed entrò.
Come aveva immaginato, il boss stava digitando altri dati che andavano a formare un elenco sul grande schermo alle sue spalle, e non gli prestò attenzione mentre prendeva posto nella sedia vuota che Pietro gli aveva tenuto libera.
“Sei pazzo?” gli sibilò questi, quando si fu seduto. “Siamo all’ultimo venerdì del mese e tu arrivi in ritardo allo show del Geko?”
“Ho dovuto chiudere un contratto” mentì, cercando di rilassarsi almeno un po’.
“Beato te, allora” mugugnò l’altro, appoggiandosi a sua volta contro lo schienale. “Io sono quattro giorni che non rimedio uno straccio di appuntamento con un cliente. È come se avessi la rogna.”
Sei un promotore finanziario italiano nel 2012, ciccione: magari avessi la rogna, ti troverebbero più accettabile!, lo apostrofò mentalmente.
“Lunedì passa da me, forse ti posso dare uno o due nomi…” gli disse invece.
Il volto grassoccio di Pietro si illuminò.
“Davvero?” sussurrò, afferrandogli la mano e avvolgendola con i suoi palmi sudati.
“Sì, davvero, ma ora stiamo zitti, se il Geko ci becca, ci manda a vendere assicurazioni auto ai ciclisti.”
Pietro obbedì, non prima di avergli strizzato la mano e avergli rivolto un sorriso di riconoscenza.
Edoardo sorrise a sua volta, ma dentro di sé provò un moto di compassione per il vicino. Si conoscevano da sette anni, da quando Pietro era entrato come stagista nella società. Ai tempi, Edoardo era un 35enne con già quasi dieci di esperienza sulle spalle e aveva deciso che quel ragazzo pingue e occhialuto, con un taglio di capelli militare che faceva sembrare la sua faccia ancora più larga e infantile e dall’aria inopportunamente innocente, del tutto fuori luogo da quelle parti, aveva bisogno di lui. Erano tempi più facili quelli, quando un agente di successo poteva permettersi di essere generoso con i colleghi più giovani. Da allora, il giovane collega continuava a dimostrargli un’ammirazione e una fedeltà tali da farlo sentire davvero un agente di successo, perfino quando il disastro aveva cominciato a profilarsi all’orizzonte. In quegli ultimi mesi, poi, l’adorazione di Pietro era stata una medicina provvidenziale contro lo sconforto e la disperazione.
Dopo essersi aggiustato per l’ennesima volta la cravatta, rivolse lo sguardo verso il boss, che stava terminando di riportare i dati di vendita di alcuni prodotti finanziari. In fondo alla lista, riconobbe un nome che gli fece gelare il sangue.
“A volte mi chiedo perché vi sto pagando” attaccò il Geko, con voce quasi dimessa, come parlasse tra sé e sé. “Dieci prodotti diversi, dieci possibilità di fare soldi, soldi veri, intendo, e tutto quello che sapete fare è piazzarne tre, quelli che ci danno le briciole.” Mentre parlava, fece scorrere il cursore sui primi tre nomi dell’elenco. Poi, all’improvviso, esplose. “Questo non è un ente di beneficienza, signori!” urlò, battendo il pugno sul tavolo. Tutte le teste davanti a Edoardo sobbalzarono, mentre lui saltò letteralmente sulla sedia.
“Lasciate che ve lo ricordi, ancora una volta” riprese a parlare l’oratore, rassettandosi il toupet e tornando a un tono di voce sostenibile. “Noi siamo qui per guadagnare. Guadagnare tanto. Se pensate che per fare questo lavoro basti aiutare quattro pulciosi risparmiatori a raccattare i soldi per arrotondare la pensione, allora siete capitati nel posto sbagliato, perché chi lavora per me deve vendere tutto, e vendere tanto. È la finanza, idioti, e farete meglio a ricordarvelo. ”
La tirata era stata molto più dura e cattiva del solito, aveva ridotto la stanza a una platea silenziosa.
“Sono sicuro” proseguì il discorso, “che molti di voi in questo momento si staranno rilassando, dicendosi: certo non sta parlando di me, io continuo a superare la mia soglia… ebbene, signore e signori, ho un annuncio da farvi: da ieri, le soglie sono state aumentate.”
Un debole gemito si levò dalle ultime file, mentre due vicini di sedia si guardarono in faccia con aria patibolare.
Il Geko lasciò correre lo sguardo su quel pubblico terrorizzato, assaporando la tensione che stava addensandosi nella sala.
“Troverete che i nuovi minimi sono di poco superiori a quelli vecchi” spiegò, mentre richiamava sullo schermo un nuovo elenco, “eppure, guardate: è stato sufficiente alzarli del 4% ed ecco che tre di voi sono andati sotto. Eh, no, no, no. Così non può andare…
L’elenco che riempiva lo schermo riportava tutti i nomi dei promotori della FinSafety. Gli ultimi tre erano scritti in rosso. Trascorsero altri silenziosi istanti carichi di tensione.
“Roberti, Morabio e Locelso. Fuori di qui. Avete chiuso.”
Un nuovo gemito, nuovi sguardi smarriti. Lentamente, una donna sulla cinquantina e due uomini di poco più giovani si alzarono dalle loro sedie e, ancora più lentamente, si avviarono verso l’uscita. Tra i superstiti, qualcuno stava cercando di reimparare velocemente a respirare, perché il suo cervello sembrava improvvisamente avere dimenticato come si faceva. Solo quando i tre ebbero lasciato la sala, il Geko riprese a parlare.
“Avete i loro numeri, giusto? Perché credo proprio che questo sia il momento giusto per provare a vendergli un bel piano SaveInTime…”
Le risate che seguirono quella battuta erano piene di untuosità ma soprattutto di sollievo: in quel momento, avrebbero trovato il loro capo spiritoso anche se si fosse messo a estrarre i loro molari senza anestesia. Quell’allegria posticcia durò fino a quando un suo imperioso gesto della mano non riportò l’ordine.
“Bene, adesso che vi ho ricordato cosa non si deve fare se si vuole lavorare per me, vediamo chi mi fa davvero felice.” Così dicendo, impugnò il mouse e con un gesto fluido fece in modo di evidenziare il nome in cima all’elenco della lista.
Il volto di Edoardo ebbe uno spasmo involontario, mentre sentiva levarsi da ogni fila esclamazioni di sorpresa soffocate e gli occhi di Pietro che si posavano su di lui.
“Proprio così!” urlò il Geko, indicandolo con il dito. “Il nostro Edoardo Gorini. Un applauso, gente!”
Il fragore del battito di mani gli giunse come attutito. Non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo nome che campeggiava sulla parete.
“Due milioni, duecentomila, trecentoventitre euro in un mese!”
Altri applausi, altre esclamazioni, lo stesso paio di occhi che si posava su di lui. Edoardo continuava a contemplare il suo nome sulla parete, incapace di muoversi, tanto meno di pensare.
“Pensate: Edoardo Gorini, quindici anni qui dentro e nemmeno una volta agente del mese. Nemmeno una volta tra i primi dieci agenti del mese, se è per questo, ed ecco che riesce in quello che nessuno di voi, nemmeno tu, Giorgio, e nemmeno tu, Renza, è mai riuscito a fare: piazzare il Bet4All!”
 Il ritmo degli applausi si fece parossistico, le espressioni d’incredulità chiaramente offensive e lo sguardo di Pietro su di lui francamente imbarazzante. Ancora, la paralisi che lo aveva colpito gli impediva di mostrare segni di attività cerebrale. Riuscì solo a registrare i nomi di Giorgio e Renza, che tra l’altro gli erano del tutto sconosciuti, così come del resto erano sempre stati quelli di quasi tutti i suoi colleghi.
“Vieni qui, Buddy!” gli urlò il Geko, alzandosi in piedi e tendendogli le braccia. Per certi versi, era tutto come nei suoi peggiori incubi, solo che in questo caso il suo capo non indossava dei paramenti sacri, non aveva degli enormi canini che gli spuntavano dalla bocca e lui non era legato a un altare sacrificale. Anzi, veniva afferrato dalle mani sudate di Pietro, fatto alzare e scortato verso il piccolo palco, mentre al suo passaggio i colleghi gli battevano delle pacche sulle spalle, a volte un po’ troppo energicamente, a dire la verità: spesso non atterravano nemmeno sulle spalle, ma sul collo o sulla testa. Edoardo sospettò che non si trattasse di innocenti errori di mira.
Una volta salito sulla pedana, venne abbracciato dal Geko, che lo afferrò, lo fissò intensamente, lo scosse fino a fargli male e infine gli mise il braccio attorno alle spalle, obbligandolo a fronteggiare la torma che si era nel frattempo accalcata ai piedi della scrivania. La luce era concentrata sul palco, tutto ciò che Edoardo riusciva a scorgere erano solo delle sagome fluttuanti.
Dunque, è così che il Geko ci vede da quassù, si trovò a pensare. Ombre senza faccia che ballano davanti a lui.
“Allora, Edo, spiega a tutti la tua trovata. Insegna a questi bamboccioni come si fa a vendere il veleno senza uccidere i nostri affari.”
Edoardo, ancora sotto shock, rimase completamente tramortito dal fatto di essere stato chiamato Edo da un uomo che in quindici anni lo aveva nominato a voce alta non più di otto volte, per di più sempre per cognome, e non riuscì a proferire parola.
“Vuoi tenertelo per te, eh, vecchio pirata?” ringhiò gioviale il boss, affibbiandogli un sonoro scapaccione. “Ti capisco, Edo, ma dobbiamo aiutare questi incapaci. Allora, aprite bene le orecchie.” Subito, il silenzio tornò ad avvolgere l’assemblea. “Nessun venditore sano di mente si rovinerebbe reputazione e portafoglio appioppando a investitori seri dei prodotti che sa benissimo essere delle solenni fregature, giusto?”
“Giusto!”, risposero tutti all’unisono. Edoardo rimase in silenzio.
“Ma un bravo professionista sa anche che i soldi veri si fanno rischiando, non andando sul sicuro. Inventiva e pensiero laterale, ecco cosa serve per arraffare tutto il jackpot, giusto?”
“Giusto!”
 “E allora, ecco il capolavoro del nostro Edo: proporre il Bet4All non ai nostri soliti clienti - gli investitori, gli uomini d’affari, la solita marmaglia in doppiopetto - ma ai poveri cristi, ai bottegai, a chi pensa davvero che con mille euro sia possibile guadagnarne diecimila semplicemente comprando un pezzo di carta solo perché un tizio in giacca e cravatta gli dice che è così. Immaginate, stipulare milletrecentoventidue contratti da tremila, duemila, mille, cinquecento euro. E sapete con chi? Ecco l’altro colpo di genio: con i cinesi! Decine, centinaia di famiglie di cinesini con le loro bottegucce in Paolo Sarpi e la nostalgia della Grande Muraglia che sognano di guadagnare abbastanza per potersi permettere di andare a morire a casa loro. E noi non vogliamo che i loro sogni muoiano all’alba, giusto?”
“Giusto!”
 “Perché i cinesi?, vi chiederete. Beh, me lo sono chiesto anch’io, all’inizio, quando mi hanno passato i tabulati dei movimenti, ma poi ci sono arrivato: Edo ha capito che per coinvolgere un numero così alto di persone, avrebbe dovuto trovare un branco di pecore pronte a seguire l’esempio di qualche vecchio caprone. Così, al nostro Edo è bastato tirare dalla sua parte due o tre caproni dagli occhi a mandorla per ritrovarsi con un intero gregge pronto per essere tosato!”
Edoardo tentò di unirsi alle risate sguaiate dei suoi colleghi, ma non ci riuscì molto bene. Non aveva molta voglia di farsi beffe dei suoi clienti cinesi, in quel momento. Non mentre il suo cellulare vibrava rabbioso nella tasca avvisandolo dell’ennesima chiamata del loro portavoce.
“Avete capito, il genio? Ha fregato un intero quartiere e ha diviso le perdite tra migliaia di straccioni che non possono alzare la voce, altrimenti attirerebbero l’attenzione sul loro piccolo mondo di centri massaggi e jeans cuciti dai bambini nei sottoscala. Due milioni, duecentomila, trecentoventitre euro! Allora, chi è il capo del branco?”
“Edoardo Gorini!” urlarono tutti all’unisono.
“Chi è il vostro Leader of the Pack?”
“Edoardo Gorini!”
“Chi è il vostro maschio alfa?”
“Edoardo Gorini!”
“E allora, per Edoardo Gorini… Auuuuuhhhhhh!”

Il Geko si era messo a ululare, rovesciando la testa e rivolgendo gli occhi socchiusi al soffitto, subito imitato dalle ombre che si agitavano sotto la pedana. Era l’atto finale del rito che ogni mese si ripeteva in quella stanza. In quindici anni, era la prima volta che Edoardo non lo viveva mescolato nel gruppo. Si era sempre chiesto cosa si provasse a essere il capobranco. Si accorse di non saperlo ancora: in quel momento, infatti, osservando gli occhi spiritati dei suoi colleghi, le loro smorfie e le loro bocche ululanti, e poi il sorriso zannuto del Geko, si sentiva molto più vicino a Cappuccetto Rosso. 

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